Sbornie in the USA. Il legame tra alcol e letteratura nel primo '900 statunitense

Gli Stati Uniti, la letteratura, l'alcol. Una storia che permea la vita – e i romanzi – della maggior parte dei più grandi scrittori americani del '900. Citerò William Faulkner, Ernest Hemingway e Jack London, che ha una teoria molto interessante riguardo l'influenza dell'alcol sulle capacità introspettive dell'uomo. L'attività letteraria dei tre maestri chiamati in causa si concentra nella prima metà del secolo - a eccezione di qualche pubblicazione oltre i fifties per Faulkner ed Hemingway.

William Faulkner, nobel per la letteratura nel '49, fu portavoce della cultura americana nel mondo. Egli doveva presenziare dibattiti importanti con un contegno serio e autorevole. Eppure beveva come una spugna. Faulkner prediligeva il classico tandem alcolismo e depressione. Quando andava in giro, Faulkner aveva una scorta di accompagnatori perché non vagabondasse da solo e degli alcohol manager – permettetemi di appellarli così! – cioè persone che si occupavano di somministrargli una dose ponderata di alcol ogni tot. Uno di questi era Picon, il quale redasse le Guidelines for Handling Mr. William Faulkner on His Trips Abroad.
Tra le dritte per far funzionare il Faulkner oratore c'era una che suscita ilarità e al contempo chiarisce la condizione di ebbrezza dello scrittore:

    William "Alla Goccia" Faulkner
    Foto di Carl Van Vechten.
    da Wikimedia Commons
  • Fate accomodare belle e giovani ragazze nelle prime file alle apparizioni pubbliche per mantenere viva la sua attenzione

Il rivale per eccellenza di Faulkner, Ernest Hemingway, nobel per la letteratura nel '54, era un altro beone da competizione. Non è necessario spulciare una biografia dettagliata di Hemingway per cogliere le sue abitudini. È sufficiente leggere Fiesta (1926), romanzo dagli ampi riferimenti autobiografici, in cui i personaggi bevono. Bevono e basta. Fiesta è un'opera magistrale, in realtà, una storia vacua che non svela mai grossolanamente il proprio significato; una testimonianza perfetta della teoria dell'iceberg.
Hemingway, come l'antagonista Faulkner, soffriva di depressione. Infatti un giorno si sparò in bocca con un fucile.
Sua Sobrietà Ernest Hemingway nel 1950
Foto della John F. Kennedy library,
da Wikimedia Commons


Qual è il legame tra alcol e letteratura?
  • Stress. Fare lo scrittore comporta un lavorio mentale fuori dal comune. Lo scrittore deve scavare dentro se stesso e affrontare i propri demoni; gestire la creatività; razionalizzare le idee in un piano definito; scrivere, riscrivere, riscrivere ancora, correggere minuziosamente per concertare la correttezza formale con l'espressività. E poi deve rilassarsi, altrimenti non è più produttivo. E come cazzo fa a rilassarsi con questi impegni che agitano la veglia e il sonno, euforizzano o immelanconiscono? Uno dei modi è sbevazzare.
  • Depressione. La parola depressione – o i suoi derivati – è già apparsa varie volte in questo articolo. Depressione e alcol sono come Tom e Jerry o Beep Beep e Wile E. Coyote: non sanno vivere l'uno senza l'altro, ma si azzuffano tutto il tempo. Uno beve perché è depresso, ed è depresso perché beve.
E ora, dopo cotanta dozzinale ovvietà, entra in ballo una visione sofisticata dell'alcol nella scrittura: quella di Jack London.


Alcol e letteratura nel John Barleycorn - Ricordi alcolici di Jack London.

Jack London ha spiegato cosa significava bere nella propria biografia alcolica John Barleycorn. Lo strano titolo, John Barleycorn, non è una trovata dello scrittore, ma il nome di un personaggio di fantasia del folclore inglese che rappresenta l'alcol e il bere. Per London, John Barleycorn è un amico che tiene compagnia, che unisce gli uomini a tutte le latitudini, e insieme un diavolo che tende trappole con stratagemmi subdoli e sofisticati.
Per London, ci sono due tipi di bevitore. Il primo viene semplicemente euforizzato e poi annichilito dall'alcol; col tempo, l'ottundimento prende il sopravvento. Il secondo, oltre a subire l'inevitabile effetto stordente, sviluppa progressivamente la logica bianca, che lo spinge alla necessità di scoprire la verità ultima. Questo bisogno è malsano, anzi, è addirittura contro la vita stessa poiché la verità È la caducità delle cose, e la caducità delle cose è un avvilente inno alla morte. La logica bianca condanna l'uomo a un'esistenza imbibita di un cupo pessimismo intellettuale, di un'inesauribile insoddisfazione; e nel medesimo istante è una punta acuminata che penetra nelle maglie della vita, una risorsa che - sostiene London - è imprescindibile per lo scrittore.

Bevete responsabilmente.
Immagine da ibs.it
Paolo Ceccarini