Un rapido commento su 1984 di Orwell

Oggi propongo un commento velocissimo su 1984 di George Orwell (1949), uno dei classici della fantascienza distopica.
immagine da Wikipedia

1984 in una manciata di righe.
George Orwell, a pochi anni dall'esito della seconda guerra mondiale, trasforma la paura dei totalitarismi in questo romanzo geniale. 1984 racconta la storia di un uomo, Winston Smith, che tenta di ribellarsi al partito dittatoriale in carica nel suo paese. Il Partito, chiamato Grande Fratello, è spietato: osserva tutti in ogni momento della giornata tramite schermi issati ovunque; mistifica le notizie e riscrive la storia per legittimare e conservare il potere; combatte l'intenzione a commettere atti ribelli (gli psicoreati) imponendo un linguaggio semplificato che restringe la possibilità di formulare pensieri contro il regime. Il Grande Fratello riesce a instaurare una religione politica a tutti gli effetti: gli esseri umani sono ridotti a ingranaggi di una macchina inarrestabile, automi incoscienti senza passato e identità a causa della corruzione della memoria storica.

Il bipensiero.
Per brevità mi limito ad accennare il bipensiero, uno dei concetti più interessanti del libro. Il bipensiero è una sorta di filosofia dell'auto-illusione imposta dal governo. In sostanza, attraverso un ragionamento paradossale, si deve credere a ciò che il Partito richiede anche se si pone in aperto contrasto a un fatto evidente.

Il romanzo di Orwell è profetico.
La nostra vita è sottoposta a un controllo capillare - si pensi alle telecamere in ogni angolo delle strade, alle nostre identità analizzate quotidianamente dalle grandi multinazionali come Google o Facebook, ai GPS che ci rendono rintracciabili in ogni istante. La gente di 1984 è inebetita dal controllo assoluto del Grande Fratello. E noi? Non siamo destinatari di notizie orientate al mero mantenimento del potere? Non siamo spinti alla massima accelerazione da un sistema che ci induce a consumare oggetti, esperienze, relazioni? Non siamo istupiditi e distratti dai social media, dove divoriamo e proponiamo ogni giorno comunicazioni inutili o, peggio ancora, mistificate? 

Paolo Ceccarini